Roma, 10 lug. - "Tanti connazionali, pur vivendo e lavorando all'estero, non si iscrivono all'Aire. Spesso poi, dal punto di vista fiscale, ritengono di non incorrere in errore, nella misura in cui denunciano solo al fisco straniero, locale, i redditi lì percepiti. Senza dichiararli, come invece impone la legge, anche al Fisco italiano. Nuovamente, con una recente sentenza (n. 16634/2018), la Corte di Cassazione ha ribadito l'obbligo di dichiarare i redditi percepiti all'estero se si è residenti fiscalmente in Italia.
Infatti, partendo dal caso di un lavoratore italiano che svolgeva la propria attività lavorativa nel Regno Unito, senza essere iscritto all'AIRE, e pagava le relative imposte solo nel Regno Unito, la Corte ha stabilito che il Fisco italiano può accertare i redditi prodotti all'estero, qualora il diretto interessato sia ancora residente fiscalmente in Italia. Questo avviene là dove non risulti ancora la sua cancellazione dall'anagrafe del Comune italiano perché non iscritto o iscritto tardivamente all'AIRE. In sostanza viene ribadito che la residenza anagrafica costituisce presunzione assoluta di residenza fiscale e il trasferimento della residenza all'Estero non fa testo fino a quando non risulti la cancellazione dall'anagrafe di un Comune italiano.
Pertanto, se l'iscrizione all'AIRE avviene tardivamente e il contribuente risulta iscritto nelle anagrafi dei residenti in Italia per la maggior parte del periodo d'imposta, per quell'anno deve essere considerato residente in Italia, nonché soggetto passivo d'imposta in Italia. La conseguenza, prevista dalla stessa Corte di Cassazione, è che i soggetti residenti fiscalmente in Italia devono provvedere ad inserire nella propria dichiarazione dei redditi anche i redditi esteri che ottengono durante il periodo d'imposta, ovunque prodotti. In caso contrario rischiano la doppia imposizione fiscale senza possibilità di detrarre le tasse pagate all'estero dall'imponibile italiano".