Roma, 2 ago. - "Negli ultimi sedici anni, 1 milione 883mila residenti hanno lasciato il Sud. La metà sono giovani compresi tra i 15 e i 34 anni; di essi un quinto, circa 190.000, sono laureati. Sempre tra i giovani, il 16%, circa 150.000, si sono diretti all’estero. Circa 800.000 di quelli andati via non sono tornati. Anzi, anche quando la ripresa economica si è riavviata, come nel 2016, altri 131.000 residenti si sono ufficialmente cancellati dai comuni meridionali. Nello stesso tempo, anche gli stranieri che dall’inizio di questo secolo tendevano a insediarsi al Sud per ragioni di lavoro e di vita, hanno iniziato ad andarsene. E sappiamo che le mobilità brevi di lavoro accrescono questi dati di 2/3 volte.
Questi sono i dati, non nuovi ma estremamente allarmanti se letti unitariamente, che il Rapporto SVIMEZ 2018 ha messo sul tappeto. Due profili dovrebbero essere considerati con assoluto senso di responsabilità, al di là delle diatribe partitiche e di coalizione: l’acuta decrescita demografica del Sud, che cumula gli effetti dell’andamento naturale con quelli dell’emigrazione, tornata ai livelli degli anni sessanta; la perdita di cervelli e quindi delle capacità direzionali necessarie per progettare e realizzare la tenuta e la ripresa. Un’Italia condizionata così pesantemente dai fattori strutturali di un’intera area rischia di avere un futuro incerto e forse mediocre. Ecco perché il Mezzogiorno non ha smesso di essere questione nazionale, continua ad essere, anzi, questione generale per le prospettive del Paese.
Alcuni nodi vanno sciolti subito: il sostegno pubblico agli investimenti per la crescita e per un nuovo modello di sviluppo, centrato sulle risorse endogene, e per l’efficienza della pubblica amministrazione; i servizi di qualificazione professionale, orientamento e informazione da fornire a coloro che non hanno la possibilità di aspettare temi medio-lunghi e che comunque decidono di andarsene; uno sviluppo della linea degli incentivi all’assunzione in loco, nonché al ritorno e al rientro, in particolare per i “cervelli” che hanno fatto utili esperienze all’estero, sviluppando su questo, coerentemente e decisamente, le politiche dei precedenti governi.
Per quanto ci riguarda, saremo attenti e pronti a cogliere le occasioni che si presenteranno a livello parlamentare per portare il nostro contributo, soprattutto in termini di comparazione con le esperienze più utili fatte in altri paesi".